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Il Giudice delle Leggi e dei Diritti fondamentali si piega alla falsa scienza
Parte II
05 maggio 2023
*a cura di Andrea Montanari, Olga Milanese, Laura Mana, Barbara di Tommaso, Fulvio di Blasi, Aldo Rocco Vitale, Teodoro Sinopoli
Nel suo faticoso e contorto ragionamento, la Corte si “rifugia” poi nel leit motive dell’ «un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari» richiamando velatamente e impropriamente l’idea di uno stato di necessità o di una serie di concause di forza maggiore senza precedenti in cui sostanzialmente tutto e il contrario di tutto poteva essere concesso; a proprio conforto richiama le dichiarazioni OMS del 30 gennaio 2020 e poi quella dell’11 marzo 2020 (in cui l’OMS, organismo ibrido privo di alcun potere di normazione obbligatoria per i Paesi aderenti, ha valutato la situazione sanitaria come «pandemia») e la delibera del CdM italiano di stato di emergenza sanitaria sul territorio nazionale: “dichiarazioni” e “delibere” appunto alle quali mai dovrebbe essere conferito il potere di reprimere i diritti fondamentali (soprattutto, lo rammentiamo, uno “stato di emergenza sanitaria” che non è normato né dalla Costituzione né dalla legge, invocata dal CdM del governo Conte-bis, sulla protezione civile n.d.r.).
Arriva allora la Consulta a giustificare il legislatore che “ha quindi reputato necessaria l’imposizione dell’obbligo al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» (art. 4, comma 1, del d.l. n. 44 del 2021, come poi convertito), legittimamente incidendo sula libertà di autodeterminazione dei singoli “alla luce della concreta situazione sanitaria ed epidemiologica in atto”. E così, liquida il problema della violazione di un diritto fondamentale, con l’asserzione che “l’evoluzione della ricerca scientifica e le determinazioni assunte dalle autorità, sovranazionali e nazionali (i tecnocrati cui sopra facciamo riferimento) preposte alla tutela della salute, assumono un rilievo assai significativo”.
Proprio quelle autorità “preposte alla tutela della salute” che hanno distorto e falsificato o occultato o abnormizzato (recentemente se ne sta avendo prova anche documentale attraverso diverse inchieste pubbliche) tutti i dati della cd. pandemia, dal numero dei contagi, alle morti per o da o con covid, dall’efficacia/inefficacia (in realtà ben nota) dei farmaci vaccinali, sia in senso assoluto che nel breve e medio termine, all’assenza di studi scientifici sui “famosi” pazienti fragili, su parte dei minori, sui guariti, sulle donne incinte, sui rischi di cancerogenità, sino all’occultamento dei tanti e gravi effetti avversi generati dagli stessi e via dicendo.
Le «acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)» (sentenza n. 5 del 2018), in questo caso specifico, quindi, non c’erano e non ci sono, e questo volendo tralasciare ogni commento sulla validità di un simile principio in un giudizio avente ad oggetto il vaglio costituzionale di una norma.
Il Giudice delle Leggi
e dei Diritti fondamentali
si piega alla falsa scienza
PARTE II
In ogni caso, dopo aver pericolosamente affermato la superiorità delle “evidenze scientifiche” sui diritti inviolabili della persona, la Corte si contraddice immediatamente sostenendo che un intervento in tali ambiti «non potrebbe nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore, bensì dovrebbe prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali o sovranazionali – a ciò deputati» (sentenze n. 162 del 2014 e n. 8 del 2011), anche in ragione dell’«“essenziale rilievo” che, a questi fini, rivestono “gli organi tecnico-scientifici” (cfr. sentenza n. 185 del 1998); e quando ricorda che già la sentenza n. 114 del 1998 aveva chiarito che “quando la scelta legislativa si fonda su riferimenti scientifici, perché si possa pervenire ad una declaratoria di illegittimità costituzionale occorre che i dati sui quali la legge riposa siano incontrovertibilmente erronei o raggiungano un tale livello di indeterminatezza da non consentire in alcun modo una interpretazione ed una applicazione razionali da parte del giudice».
Per non parlare dell’affermazione successiva, fondata sul nulla: “si deve allora verificare se la scelta del legislatore di introdurre l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari, anche alla luce della situazione pandemica esistente, sia coerente rispetto alle conoscenze medico-scientifiche del momento (sentenza n. 5 del 2018, si noti bene quel “del momento”), quali risultanti dalle rilevazioni e dagli studi elaborati dagli organismi (nazionali e sovranazionali) istituzionalmente preposti al settore, e in particolare dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), dall’ISS e dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA)”.
Ove anche si volesse accettare questo tipo di ragionamento in un giudizio di legittimità costituzionale, allora la Corte avrebbe dovuto giungere a conclusioni diametralmente opposte, dichiarando l’assoluta contrarietà delle scelte del legislatore alle “conoscenze medico-scientifiche del momento”.
Ed invece la Consulta ha perseverato nel macroscopico errore di cui sopra, asserendo: “La scelta si è rivelata, altresì ragionevolmente correlata al fine perseguito di ridurre la circolazione del virus attraverso la somministrazione dei vaccini… i vaccini fossero idonei a determinare una significativa riduzione di quella circolazione… In base a tali considerazioni, l’imposizione di un obbligo vaccinale selettivo, come condizione di idoneità per l’espletamento di attività che espongono gli operatori ad un potenziale rischio di contagio, e dunque a tutela della salute dei terzi e della collettività, si connota quale misura sufficientemente validata sul piano scientifico (!)”.
Nel rigettare, infine, l’obiezione mossa dal Giudice di Padova remittente sulla preferibilità del tampone rapido o molecolare, in quanto più utile, più efficace e meno rischioso per la salute delle persone della vaccinazione, la Corte ha ritenuto che “tale soluzione sarebbe stata del tutto inidonea a prevenire la malattia (specie grave) degli stessi operatori (che invece si sono ammalati in grandissima quantità anche con forme gravi ndr), con il conseguente rischio di compromettere il funzionamento del servizio sanitario nazionale. Inoltre, l’effettuazione periodica di test antigenici con una cadenza particolarmente ravvicinata (e cioè ogni due o tre giorni) avrebbe avuto costi insostenibili e avrebbe comportato uno sforzo difficilmente tollerabile per il sistema sanitario, già impegnato nella gestione della pandemia (in tal senso richiama la sentenza n. 14 del 2023, di cui infra).
Forse la Corte dimentica che sono stati eseguiti a carico e a spese dei cittadini italiani – e non certo del SSN – decine e decine di milioni di tamponi imposti da altra normativa emergenziale (il DL 172/2021), che introduceva il green pass da tampone ai lavoratori per accedere ai luoghi di lavoro; in quel caso i “costi” erano sostenibili e lo sforzo tollerabile?
In realtà, il DL n. 44/21 è stato un provvedimento di carattere sanitario, privo di alcuna ragionevolezza giuridica e di adeguatezza allo scopo dichiarato, tanto più considerando che (nonostante la cessazione dello stato di emergenza dichiarata in data 31/3/22 con il DL n. 24/22) questa normativa ha impedito di lavorare a moltissimi operatori sanitari, a detrimento, in primis, proprio di quel SSN già in grave sofferenza che la Corte ritiene invece così essere stato salvaguardato e in secundis di quei medesimi pazienti che si sarebbero dovuti invece proteggere (2).
Sulla scorta delle predette osservazioni appare evidente come le ulteriori illusorie asserzioni giustificative della Corte sul tema della “riduzione dei contagi” (la cd. curva epidemiologica) cui la Corte si “aggrappa”, citando (parzialmente) le fonti della autorità sanitarie nazionali, siano sconfessate proprio dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità) (3).
Dopo più di un anno di campagna vaccinale, si è osservato infatti che l’evoluzione dell’epidemia in termini di incidenza e prevalenza complessive non si è ridotta ma, all’inverso, si è assistito ad una ripresa della diffusione dell’infezione virale (v. sempre i dati ISS al 20/7/22), anche dovuta all’insorgenza di nuove varianti.
Sono proprio quindi i dati ufficiali che smentiscono che il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) imposto sia stato funzionale alla tutela della salute pubblica. E sempre i dati dell’ISS, di poco anteriori alla sentenza in commento, hanno accertato, nonostante l’ampia partecipazione alla campagna vaccinale, un aumento enorme di contagi (diagnosticati) che ha disatteso gli obiettivi e gli effetti principali che la vaccinazione di massa si prefiggeva di perseguire anche sotto il profilo di tutela della salute pubblica.
Ferma la pregnante assorbenza di quanto sopra esposto, non può, infine, revocarsi in dubbio la rilevanza del canone di ragionevolezza – da tempo considerato espressione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. – che deve assistere le leggi e di certo non risulta rispettato. In base a tale principio, il legislatore deve regolare in maniera uguale situazioni uguali ed in maniera razionalmente diversa situazioni diverse, in modo che eventuali disparità di trattamento trovino giustificazione nella diversità delle situazioni disciplinate. Conseguentemente, il citato principio risulta violato anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, riservi un trattamento diverso ai cittadini che si trovino in situazioni assimilabili (sent. C. Cost. n. 15/60 e n. 96/80).
Orbene, anche sotto tale ulteriore profilo (violazione dell’art. 3 Cost. per irragionevolezza dell’art. 4-bis, primo comma, nonché dei commi primo, quarto e quinto dell’art. 4, del DL 44/21), i Giudici a quo avevano evidenziato un punto importante.
Posto infatti che la vaccinazione è imposta specificatamente al “lavoratore sanitario” al fine, in teoria, di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza (e dunque non a tutela della salute propria, ma di quella delle persone fragili all’interno delle strutture sanitarie, quelle oltretutto su cui non sono mai stati fatti studi specifici), ed assodato che detti vaccini, sulla base dei dati empirici e scientifici, non offrono alcuna garanzia che la persona vaccinata non sia infetta e che non possa trasmette il virus a terzi, è del tutto lecito concludere che l’obbligo vaccinale imposto ai lavoratori sanitari appaia ex se inidoneo a raggiungere lo scopo che la norma si prefigge, vale a dire quello di preservare anche la salute degli ospiti della struttura sanitaria che li accoglie.
Di conseguenza, anche sotto tale profilo la norma in questione viola l’art. 3 Cost., nell’accezione di cui sopra, poiché impone al lavoratore un obbligo irragionevole, inutile e pregiudizievole del proprio diritto fondamentale all’autodeterminazione terapeutica ex art. 32 Cost., nonché del suo diritto al lavoro ex artt. 4 e 35 Cost., prevedendo la sanzione (conseguentemente illegittima) della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale.
Concludiamo allora le nostre osservazioni come segue.
Mentre le Corti Supreme o le Corti federali di altri Stati hanno sospeso, le une dopo le altre, l’uso dei vaccini anti Covid per insufficiente efficacia o per eccesso di gravi effetti avversi o hanno dichiarato illegittimo l’obbligo vaccinale ove rarissimamente imposto ad alcune categorie di lavoratori (recenti i casi Argentina, New York USA, Grecia, Slovenia, Svezia, Danimarca, Germania), alla Corte Costituzionale italiana sembra essere mancato il coraggio e/o la lucidità e comunque certamente il rispetto del proprio alto ruolo di garanzia, emettendo decisioni in cui la mancanza o il rifiuto della conoscenza dei fatti (oltretutto notori) e dello stato delle conoscenze scientifiche (notorie anch’esse), la confusione tra diritti naturali soggettivi inviolabili e meri interessi collettivi della comunità (non potendosi parlare al riguardo di diritti soggettivi di pari rango gerarchico della comunità medesima) con indebita prevaricazione di questi ultimi sui primi, pare abbiano preso il sopravvento, annullandone l’alta funzione di Giudice garante per eccellenza della Costituzione repubblicana e dei diritti e delle libertà fondamentali di tutti i cittadini italiani.
La recente pubblicazione di documenti sconcertanti derivanti dalle acquisizioni probatorie dell’inchiesta della Procura di Bergamo e di quella condotta dalla trasmissione televisiva Fuori dal Coro dimostra solo ancor più quanto la Corte sia incorsa forse nella più clamorosa rinnegazione di sé stessa, disconoscendo non solo il proprio ruolo ma anche gli stessi principi di diritto dalla medesima in precedenza espressi.
*Avvocati componenti del Comitato Giuridico Scientifico della Società Italiana di Medicina
Note:
(2) Forse la Corte non è avvezza alla lettura dei bilanci ed allo studio della contabilità dello Stato perché la visione che essa fornisce del SSN è banale e fuorviante; tant’è che arriva a sostenere di dover salvaguardare la Sanità Nazionale per il tramite dei tagli ai tamponi e dell’introduzione dell’obbligo vaccinale (!). Come se tali strumenti potessero veramente incidere su una Sanità pubblica che sta andando in pezzi ormai da anni e la cui condizione sembra non si abbia intenzione di migliorare. Basti solo pensare che, per via del Patto di stabilità (L. n. 191/09), le assunzioni di personale sono state bloccate dal 2010 al livello di spesa del 2004 meno l’1,4%, con la conseguenza che tra il 2009 e il 2018 si sono perse 45.000 unità di personale (di cui oltre 7 mila medici e 35 mila tra infermieri e altri sanitari); un “blocco” mitigato nel 2020-21 in cui si sono fatte 17.000 assunzioni in deroga per l’emergenza Covid, ma il tetto di spesa imposto per le vie ordinarie è tuttora in vigore.
(3) infatti, nei propri report, ivi incluso quello del 15/7/22 (https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_13-luglio-2022), antecedente alle decisioni della Corte, l’ISS medesimo ha attestato chiaramente un’efficacia preventiva dei vaccini ancora inferiore a quelle precedenti, pari al 37% entro 90 gg. dal completamento vaccinale e al 28% tra i 90 e 120 gg.
Avv. Andrea Montanari
05 maggio 2023
*a cura di Andrea Montanari, Olga Milanese, Laura Mana, Barbara di Tommaso, Fulvio di Blasi, Aldo Rocco Vitale, Teodoro Sinopoli
Nel suo faticoso e contorto ragionamento, la Corte si “rifugia” poi nel leit motive dell’ «un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari» richiamando velatamente e impropriamente l’idea di uno stato di necessità o di una serie di concause di forza maggiore senza precedenti in cui sostanzialmente tutto e il contrario di tutto poteva essere concesso; a proprio conforto richiama le dichiarazioni OMS del 30 gennaio 2020 e poi quella dell’11 marzo 2020 (in cui l’OMS, organismo ibrido privo di alcun potere di normazione obbligatoria per i Paesi aderenti, ha valutato la situazione sanitaria come «pandemia») e la delibera del CdM italiano di stato di emergenza sanitaria sul territorio nazionale: “dichiarazioni” e “delibere” appunto alle quali mai dovrebbe essere conferito il potere di reprimere i diritti fondamentali (soprattutto, lo rammentiamo, uno “stato di emergenza sanitaria” che non è normato né dalla Costituzione né dalla legge, invocata dal CdM del governo Conte-bis, sulla protezione civile n.d.r.).
Arriva allora la Consulta a giustificare il legislatore che “ha quindi reputato necessaria l’imposizione dell’obbligo al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» (art. 4, comma 1, del d.l. n. 44 del 2021, come poi convertito), legittimamente incidendo sula libertà di autodeterminazione dei singoli “alla luce della concreta situazione sanitaria ed epidemiologica in atto”. E così, liquida il problema della violazione di un diritto fondamentale, con l’asserzione che “l’evoluzione della ricerca scientifica e le determinazioni assunte dalle autorità, sovranazionali e nazionali (i tecnocrati cui sopra facciamo riferimento) preposte alla tutela della salute, assumono un rilievo assai significativo”.
Proprio quelle autorità “preposte alla tutela della salute” che hanno distorto e falsificato o occultato o abnormizzato (recentemente se ne sta avendo prova anche documentale attraverso diverse inchieste pubbliche) tutti i dati della cd. pandemia, dal numero dei contagi, alle morti per o da o con covid, dall’efficacia/inefficacia (in realtà ben nota) dei farmaci vaccinali, sia in senso assoluto che nel breve e medio termine, all’assenza di studi scientifici sui “famosi” pazienti fragili, su parte dei minori, sui guariti, sulle donne incinte, sui rischi di cancerogenità, sino all’occultamento dei tanti e gravi effetti avversi generati dagli stessi e via dicendo.
Le «acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)» (sentenza n. 5 del 2018), in questo caso specifico, quindi, non c’erano e non ci sono, e questo volendo tralasciare ogni commento sulla validità di un simile principio in un giudizio avente ad oggetto il vaglio costituzionale di una norma.
Il Giudice delle Leggi
e dei Diritti fondamentali
si piega alla falsa scienza
PARTE II
In ogni caso, dopo aver pericolosamente affermato la superiorità delle “evidenze scientifiche” sui diritti inviolabili della persona, la Corte si contraddice immediatamente sostenendo che un intervento in tali ambiti «non potrebbe nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore, bensì dovrebbe prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali o sovranazionali – a ciò deputati» (sentenze n. 162 del 2014 e n. 8 del 2011), anche in ragione dell’«“essenziale rilievo” che, a questi fini, rivestono “gli organi tecnico-scientifici” (cfr. sentenza n. 185 del 1998); e quando ricorda che già la sentenza n. 114 del 1998 aveva chiarito che “quando la scelta legislativa si fonda su riferimenti scientifici, perché si possa pervenire ad una declaratoria di illegittimità costituzionale occorre che i dati sui quali la legge riposa siano incontrovertibilmente erronei o raggiungano un tale livello di indeterminatezza da non consentire in alcun modo una interpretazione ed una applicazione razionali da parte del giudice».
Per non parlare dell’affermazione successiva, fondata sul nulla: “si deve allora verificare se la scelta del legislatore di introdurre l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari, anche alla luce della situazione pandemica esistente, sia coerente rispetto alle conoscenze medico-scientifiche del momento (sentenza n. 5 del 2018, si noti bene quel “del momento”), quali risultanti dalle rilevazioni e dagli studi elaborati dagli organismi (nazionali e sovranazionali) istituzionalmente preposti al settore, e in particolare dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), dall’ISS e dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA)”.
Ove anche si volesse accettare questo tipo di ragionamento in un giudizio di legittimità costituzionale, allora la Corte avrebbe dovuto giungere a conclusioni diametralmente opposte, dichiarando l’assoluta contrarietà delle scelte del legislatore alle “conoscenze medico-scientifiche del momento”.
Ed invece la Consulta ha perseverato nel macroscopico errore di cui sopra, asserendo: “La scelta si è rivelata, altresì ragionevolmente correlata al fine perseguito di ridurre la circolazione del virus attraverso la somministrazione dei vaccini… i vaccini fossero idonei a determinare una significativa riduzione di quella circolazione… In base a tali considerazioni, l’imposizione di un obbligo vaccinale selettivo, come condizione di idoneità per l’espletamento di attività che espongono gli operatori ad un potenziale rischio di contagio, e dunque a tutela della salute dei terzi e della collettività, si connota quale misura sufficientemente validata sul piano scientifico (!)”.
Nel rigettare, infine, l’obiezione mossa dal Giudice di Padova remittente sulla preferibilità del tampone rapido o molecolare, in quanto più utile, più efficace e meno rischioso per la salute delle persone della vaccinazione, la Corte ha ritenuto che “tale soluzione sarebbe stata del tutto inidonea a prevenire la malattia (specie grave) degli stessi operatori (che invece si sono ammalati in grandissima quantità anche con forme gravi ndr), con il conseguente rischio di compromettere il funzionamento del servizio sanitario nazionale. Inoltre, l’effettuazione periodica di test antigenici con una cadenza particolarmente ravvicinata (e cioè ogni due o tre giorni) avrebbe avuto costi insostenibili e avrebbe comportato uno sforzo difficilmente tollerabile per il sistema sanitario, già impegnato nella gestione della pandemia (in tal senso richiama la sentenza n. 14 del 2023, di cui infra).
Forse la Corte dimentica che sono stati eseguiti a carico e a spese dei cittadini italiani – e non certo del SSN – decine e decine di milioni di tamponi imposti da altra normativa emergenziale (il DL 172/2021), che introduceva il green pass da tampone ai lavoratori per accedere ai luoghi di lavoro; in quel caso i “costi” erano sostenibili e lo sforzo tollerabile?
In realtà, il DL n. 44/21 è stato un provvedimento di carattere sanitario, privo di alcuna ragionevolezza giuridica e di adeguatezza allo scopo dichiarato, tanto più considerando che (nonostante la cessazione dello stato di emergenza dichiarata in data 31/3/22 con il DL n. 24/22) questa normativa ha impedito di lavorare a moltissimi operatori sanitari, a detrimento, in primis, proprio di quel SSN già in grave sofferenza che la Corte ritiene invece così essere stato salvaguardato e in secundis di quei medesimi pazienti che si sarebbero dovuti invece proteggere (2).
Sulla scorta delle predette osservazioni appare evidente come le ulteriori illusorie asserzioni giustificative della Corte sul tema della “riduzione dei contagi” (la cd. curva epidemiologica) cui la Corte si “aggrappa”, citando (parzialmente) le fonti della autorità sanitarie nazionali, siano sconfessate proprio dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità) (3).
Dopo più di un anno di campagna vaccinale, si è osservato infatti che l’evoluzione dell’epidemia in termini di incidenza e prevalenza complessive non si è ridotta ma, all’inverso, si è assistito ad una ripresa della diffusione dell’infezione virale (v. sempre i dati ISS al 20/7/22), anche dovuta all’insorgenza di nuove varianti.
Sono proprio quindi i dati ufficiali che smentiscono che il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) imposto sia stato funzionale alla tutela della salute pubblica. E sempre i dati dell’ISS, di poco anteriori alla sentenza in commento, hanno accertato, nonostante l’ampia partecipazione alla campagna vaccinale, un aumento enorme di contagi (diagnosticati) che ha disatteso gli obiettivi e gli effetti principali che la vaccinazione di massa si prefiggeva di perseguire anche sotto il profilo di tutela della salute pubblica.
Ferma la pregnante assorbenza di quanto sopra esposto, non può, infine, revocarsi in dubbio la rilevanza del canone di ragionevolezza – da tempo considerato espressione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. – che deve assistere le leggi e di certo non risulta rispettato. In base a tale principio, il legislatore deve regolare in maniera uguale situazioni uguali ed in maniera razionalmente diversa situazioni diverse, in modo che eventuali disparità di trattamento trovino giustificazione nella diversità delle situazioni disciplinate. Conseguentemente, il citato principio risulta violato anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, riservi un trattamento diverso ai cittadini che si trovino in situazioni assimilabili (sent. C. Cost. n. 15/60 e n. 96/80).
Orbene, anche sotto tale ulteriore profilo (violazione dell’art. 3 Cost. per irragionevolezza dell’art. 4-bis, primo comma, nonché dei commi primo, quarto e quinto dell’art. 4, del DL 44/21), i Giudici a quo avevano evidenziato un punto importante.
Posto infatti che la vaccinazione è imposta specificatamente al “lavoratore sanitario” al fine, in teoria, di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza (e dunque non a tutela della salute propria, ma di quella delle persone fragili all’interno delle strutture sanitarie, quelle oltretutto su cui non sono mai stati fatti studi specifici), ed assodato che detti vaccini, sulla base dei dati empirici e scientifici, non offrono alcuna garanzia che la persona vaccinata non sia infetta e che non possa trasmette il virus a terzi, è del tutto lecito concludere che l’obbligo vaccinale imposto ai lavoratori sanitari appaia ex se inidoneo a raggiungere lo scopo che la norma si prefigge, vale a dire quello di preservare anche la salute degli ospiti della struttura sanitaria che li accoglie.
Di conseguenza, anche sotto tale profilo la norma in questione viola l’art. 3 Cost., nell’accezione di cui sopra, poiché impone al lavoratore un obbligo irragionevole, inutile e pregiudizievole del proprio diritto fondamentale all’autodeterminazione terapeutica ex art. 32 Cost., nonché del suo diritto al lavoro ex artt. 4 e 35 Cost., prevedendo la sanzione (conseguentemente illegittima) della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale.
Concludiamo allora le nostre osservazioni come segue.
Mentre le Corti Supreme o le Corti federali di altri Stati hanno sospeso, le une dopo le altre, l’uso dei vaccini anti Covid per insufficiente efficacia o per eccesso di gravi effetti avversi o hanno dichiarato illegittimo l’obbligo vaccinale ove rarissimamente imposto ad alcune categorie di lavoratori (recenti i casi Argentina, New York USA, Grecia, Slovenia, Svezia, Danimarca, Germania), alla Corte Costituzionale italiana sembra essere mancato il coraggio e/o la lucidità e comunque certamente il rispetto del proprio alto ruolo di garanzia, emettendo decisioni in cui la mancanza o il rifiuto della conoscenza dei fatti (oltretutto notori) e dello stato delle conoscenze scientifiche (notorie anch’esse), la confusione tra diritti naturali soggettivi inviolabili e meri interessi collettivi della comunità (non potendosi parlare al riguardo di diritti soggettivi di pari rango gerarchico della comunità medesima) con indebita prevaricazione di questi ultimi sui primi, pare abbiano preso il sopravvento, annullandone l’alta funzione di Giudice garante per eccellenza della Costituzione repubblicana e dei diritti e delle libertà fondamentali di tutti i cittadini italiani.
La recente pubblicazione di documenti sconcertanti derivanti dalle acquisizioni probatorie dell’inchiesta della Procura di Bergamo e di quella condotta dalla trasmissione televisiva Fuori dal Coro dimostra solo ancor più quanto la Corte sia incorsa forse nella più clamorosa rinnegazione di sé stessa, disconoscendo non solo il proprio ruolo ma anche gli stessi principi di diritto dalla medesima in precedenza espressi.
*Avvocati componenti del Comitato Giuridico Scientifico della Società Italiana di Medicina
Note:
(2) Forse la Corte non è avvezza alla lettura dei bilanci ed allo studio della contabilità dello Stato perché la visione che essa fornisce del SSN è banale e fuorviante; tant’è che arriva a sostenere di dover salvaguardare la Sanità Nazionale per il tramite dei tagli ai tamponi e dell’introduzione dell’obbligo vaccinale (!). Come se tali strumenti potessero veramente incidere su una Sanità pubblica che sta andando in pezzi ormai da anni e la cui condizione sembra non si abbia intenzione di migliorare. Basti solo pensare che, per via del Patto di stabilità (L. n. 191/09), le assunzioni di personale sono state bloccate dal 2010 al livello di spesa del 2004 meno l’1,4%, con la conseguenza che tra il 2009 e il 2018 si sono perse 45.000 unità di personale (di cui oltre 7 mila medici e 35 mila tra infermieri e altri sanitari); un “blocco” mitigato nel 2020-21 in cui si sono fatte 17.000 assunzioni in deroga per l’emergenza Covid, ma il tetto di spesa imposto per le vie ordinarie è tuttora in vigore.
(3) infatti, nei propri report, ivi incluso quello del 15/7/22 (https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_13-luglio-2022), antecedente alle decisioni della Corte, l’ISS medesimo ha attestato chiaramente un’efficacia preventiva dei vaccini ancora inferiore a quelle precedenti, pari al 37% entro 90 gg. dal completamento vaccinale e al 28% tra i 90 e 120 gg.